Una parola in grado di toccare l’essenziale, di coincidere con la verità. Luca Santilli ci proietta come in un mondo vorticante dove ogni elemento si equipara all’altro in una fitta rete di scambi simbolici e dati extrasensoriali volti a dare manifestazione visibile alla magia sovrasensibile che unifica le cose del mondo. La narrazione accumula diverse piccole scene che seppur solidali fra loro perché riferite allo stesso tempo si susseguono senza legami causali espliciti, instaurando una continua comunicazione tra contemporaneità e antichità, tra l’autore e i personaggi. I molteplici episodi si intrecciano tra loro secondo una serie sottile di rispondenze, sospensioni e riprese. Lo spazio narrativo è posto infatti sotto il segno del molteplice e del contraddittorio: ogni cosa serba in sé il suo contrario e si elide in un continuo mutare di forme. Così l’arte di Luca Santilli non è mobile o statica, ma dinamica e aperta senza il rischio che l’attività stessa dello scrivere la fossilizzi. L’aspetto irrazionale del romanzo è il dettaglio più sorprendente: la corporeità di Nimue e l’imprendibilità di Euriel sono gli equivalenti artistici dello scrittore, che prende di petto il lettore manifestando il proprio ripudio alle cose corruttibili e terrene in nome della difesa dell’amore in ogni tempo e in ogni dove.
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